Articolo di Francesca Benatti, Prof. Diritto privato comparato Un. Cattolica Milano
– Il Settimanale, rubrica a cura di Fiorenzo Festi –
1. Introduzione
Sebbene il dibattito sulle fake news abbia acquisito una rilevanza globale a partire dal 2016 con l’elezione di Donald Trump e il referendum sulla Brexit, non si tratta di un fenomeno nuovo. Nel 1835, Richard Adams Locke pubblicò sul New York Sun sei articoli oggi noti come The Great Moon Hoax, apparentemente tratti dall’Edinburgh Journal of Science e che descrivevano una civiltà che viveva sulla Luna. L’abile fusione di elementi reali, come i dati delle rilevazioni astronomiche, con quelli fantastici di unicorni, castori a due zampe e umanoidi pelosi e alati simili a pipistrelli aveva portato a uno straordinario successo di pubblico. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei lettori credeva che la storia fosse vera, tanto che un gruppo di scienziati dell’Università di Yale si recò a New York alla ricerca degli articoli. Solo in seguito il giornale riportava che si trattava di falsi1 .
Un altro esempio può essere tratto dalla campagna presidenziale americana del 1896 con la scelta di un candidato di fondare un giornale per combattere l’epidemia di fake news, mentre diversi giornalisti, considerando il loro comportamento eccessivo e deplorevole, lamentavano che “non si poteva prevedere che sarebbe arrivato un momento in cui una stampa di parte avrebbe tentato di ingannare il popolo…. Non si poteva prevedere che sarebbe arrivato un tempo in cui sarebbero state pubblicate intere colonne di notizie false, che intere colonne di notizie sensazionali sarebbero state stampate e lette”2 . Ma anche l’attività della Yellow Press, che prende il nome dallo stile giornalistico utilizzato da Pulitzer e Hearst nei loro reportage su Cuba prima della guerra ispano-americana, rientra in questa categoria e si distingue per la ricerca di un sensazionalismo esagerato, l’appello alle emozioni piuttosto che alla razionalità e ai fatti.
Tuttavia, esaminando il fenomeno, si possono distinguere diverse ipotesi, come la falsità manifesta, la falsità apparente, l’incitamento all’odio e la discriminazione. Pertanto, non è facile classificare casi con metodi e obiettivi diversi sotto la stessa voce. È stato sostenuto che le fake news possono essere definite come affermazioni false su una situazione in un formato e con un contenuto che assomiglia a quelli utilizzati dai media legittimi. Vengono prodotte e poi riprodotte deliberatamente per intrattenere, cercare di influenzare le persone o fare soldi fornendo click bait. Tuttavia, sebbene siano diffuse principalmente su Internet, non possono essere considerate al di fuori dei media tradizionali.
Se questa definizione sembra riduttiva, una più ampia ed efficace è stata offerta da Papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2018: “Con questa espressione ci si riferisce dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici. L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni. La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità”3 .
La gravità del fenomeno deriva dal fatto che “ognuno di noi vive e lavora in una piccola parte della terra, si muove in una piccola cerchia di persone, e di queste ne conosce solo alcune intimamente. Di ogni evento pubblico che ha ampie ripercussioni, vediamo solo se una fase o un aspetto di esso va bene. Questo vale sia per coloro che scrivono trattati, legiferano, ordinano, sia per coloro che sono i destinatari di questi trattati, leggi, ordini. Inevitabilmente, la nostra opinione copre uno spazio più ampio, un tempo più lungo e un numero maggiore di cose di cui abbiamo esperienza diretta. Devono essere compresi attraverso ciò che gli altri presentano e noi possiamo immaginare”4 . Così scrive Walter Lippman nella sua opera più famosa sull'”opinione pubblica”. Pertanto, le nostre idee e le nostre scelte sono influenzate anche da ciò che ci dicono i media.
Sono molte le ragioni che sembrano determinare una maggiore attenzione alle fake news oggi. Innanzitutto, siamo nell’era postmoderna annunciata dal libro di Lyotard5 , della post-verità caratterizzata dall’ironizzazione, dalla desublimazione e, soprattutto, dalla de-oggettivazione: non esistono fatti, ma solo interpretazioni. Non esistono notizie reali, ma solo storie di cronaca: il mondo è una rappresentazione. Tuttavia, questa tesi sembra oggi mostrare i primi segni di una crisi6 .
Inoltre, l’ubiquità di Internet7 e dei social media consente una riproduzione molto rapida e incontrollata delle notizie. Questo è il fenomeno del “discorso a buon mercato” delineato da Volokh: “quando gli oratori possono comunicare direttamente con il pubblico, il loro discorso può essere meno affidabile: possono non essere disposti ad assumere dei fact-checkers, o possono non essere sufficientemente influenzati dagli standard giornalistici professionali, o possono non preoccuparsi abbastanza della loro reputazione a lungo termine per l’accuratezza”8 . Inoltre, la rapida circolazione di così tante notizie fa sì che solo alcune catturino la nostra attenzione, e di solito sono quelle più impressionanti. Questo spiega la ricerca dell’effetto sia nella costruzione dell’informazione che nel framing. Tuttavia, studi empirici hanno dimostrato che i siti web che producono principalmente fake news si affidano ai social media per oltre il 40% delle loro visite al sito, mentre i siti di notizie mainstream utilizzano i social media solo per il 10% delle loro visite. Inoltre, ad esempio, il 62% degli adulti statunitensi ottiene le proprie informazioni dai social network: due terzi degli utenti di Facebook, il 59% degli utenti di Twitter e 7 utenti di Reddit su 10 utilizzano quello specifico social network come principale fonte di informazioni9 . Ma anche in Italia, Facebook, Twitter e Google stanno progressivamente sostituendo i media tradizionali.
Le caratteristiche particolari dell’informazione su Internet, tuttavia, aggravano, come sottolinea Sunstein10 , la polarizzazione e la frammentazione della società. Infatti, ciò che appare nel feed di Facebook o Twitter sono le preferenze delle persone, che entrano così in contatto solo con le idee a loro vicine senza aprirsi ad altri punti di vista. Ciò è dovuto, da un lato, alla possibilità di definire i contenuti a cui si vuole accedere e, dall’altro, al potere dei social media providers di filtrare le informazioni che mettono a disposizione di ogni persona in base a ciò che già conosce. Si tratta del fenomeno delle camere d’eco, che sono in grado di provocare notevoli distorsioni cognitive. Al contrario, i media tradizionali devono essere in grado di offrire una pluralità di punti di vista che consentano la formazione di opinioni più informate. È chiaro che le conseguenze negative delle camere dell’eco sono particolarmente evidenti per le persone che non hanno ideologie definite e che quindi sono più facilmente influenzabili.
Va inoltre notato che i media tradizionali hanno subito una grande trasformazione che ha portato al superamento dei principi del giornalismo classico. La dottrina ha osservato che il sistema attuale, noto come cultura dei media misti, è caratterizzato da (1) un ciclo infinito di notizie in cui la necessità di riempire centinaia di ore e migliaia di pagine alla settimana porta a dare notizie senza la tradizionale preoccupazione di verifica; (2) una corsa al ribasso etico in cui gli standard più bassi di giornalisti marginali, come i siti web di gossip, spingono i media tradizionali a riportare le accuse, pena la perdita di spettatori e dei relativi introiti; e (3) il desiderio da parte delle organizzazioni giornalistiche di riportare storie scandalistiche “di successo”11 . La competitività e la ricerca di spazi di mercato hanno portato a una maggiore permeabilità alle fake news.
A questo cambiamento si affianca una diffusa sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti dei media, che non sono più percepiti come guardiani della democrazia, ma come attori politici determinati a influenzare il dibattito. In effetti, hanno un potere significativo nell’influenzare la definizione dell’agenda, scegliendo sia le notizie che le inquadrature. È noto che non tutti gli eventi diventano notizie, ma che devono passare attraverso una serie di cancelli che dipendono dal sistema, dalla società e dalle sue istituzioni, dal giornale e quindi dal suo direttore, dagli investimenti pubblicitari, dall’editore, dalla cosiddetta routine di quel giornale, dall’ideologia e dalla percezione del giornalista. Questo è evidente dal fatto che in certi periodi le storie su certi argomenti vengono pubblicate quotidianamente e poi abbandonate del tutto (priming). In parte, ciò è dovuto anche alla polarizzazione della società, che si traduce in un tentativo da parte dei media di soddisfare il proprio pubblico di riferimento attraverso la scelta e i metodi di informazione delle notizie.
Gadamer aveva avvertito come la televisione porti alla fine del dialogo e all’affermazione dell’individuo passivo, con effetti pericolosi per la democrazia: “la mia critica non è rivolta agli operatori dei media, ma a un intero sistema che rischia, attraverso l’industria dei media, di trasformare la democrazia in oligarchia, espropriando il popolo della sua sovranità”12 . Noam Chomsky e Edward S. Herman hanno sottolineato più specificamente come i media difendano l’ordine sociale esistente omettendo volontariamente alcune informazioni e contribuendo alla creazione di un controllo sociale di massa per plasmare le coscienze degli individui. Per raggiungere questo obiettivo, il contenuto dei messaggi trasmessi dai media tende a difendere le norme e le convenzioni sociali, a dare voce alle élites dominanti, a oscurare e condannare i comportamenti non conformi, a diffondere il “panico moralistico” su alcuni fenomeni sociali e a creare “capri espiatori”13 . Questo profilo è stato accentuato dalla scomparsa dell’editore puro e dalla creazione di grandi aziende giornalistiche spesso legate a multinazionali o a gruppi di interesse: dal 2013, ad esempio, il Washington Post è di proprietà di Jeff Bezos, CEO fino al 2021 di Amazon.
Questo ha conseguenze individuali e collettive. Da un lato, può portare le persone a camuffare i propri pensieri e le proprie opinioni se sono considerate una minoranza all’interno di un gruppo, mentre, dall’altro, vengono enfatizzati quando sono considerati conformi a quelli della maggioranza. Nelle conseguenze collettive si verifica una diffusione “a spirale” delle idee della maggioranza14 , mentre le altre rischiano il silenzio e l’oblio. In questo contesto, quindi, gli individui esprimono e manifestano i loro pensieri in proporzione a come li percepiscono all’interno del proprio gruppo sociale. I media possono influenzare questo processo proponendo un’opinione come maggioritaria e ampiamente condivisa, indipendentemente dal fatto che lo sia realmente, influenzando le opinioni reali del pubblico. È lo stesso meccanismo utilizzato nei sondaggi elettorali, che sempre più spesso si rivelano sbagliati.
Da questo punto di vista, possiamo osservare come i media diventino autoreferenziali grazie alla spirale del silenzio. Questa distanza sempre più evidente tra la società reale e la sua rappresentazione aumenta il disagio. In realtà, la percezione che i cittadini hanno di questo tentativo di influenzare le loro scelte ha provocato e accentuato il loro abbandono, come dimostra il crollo delle vendite della stampa in Italia e il ricorso all’informazione online, considerata più libera e non censurata. È un circolo vizioso: la mancanza di credibilità, anche se solo apparente, rafforza la ricerca di notizie su Internet, dove è più facile trovare disinformazione a cui i media tradizionali devono poi rispondere. Il meccanismo amplifica la pervasività delle fake news, che continuano a circolare e a influenzare il dibattito.
Infine, gli studi di psicologia hanno fatto luce sugli effetti distorsivi delle fake news, che inizialmente si pensava fossero limitati alle persone non istruite e disinformate e a singoli casi. Sulla base di una teoria considerata ingenua, si riteneva che le rappresentazioni mentali fossero classificate in modo affidabile e duraturo in credenze, desideri, fantasie e finzioni, e che le persone fossero in grado di riclassificarle automaticamente o facilmente in presenza di un motivo valido. Pertanto, le fake news sarebbero un problema solo quando determinano rappresentazioni classificate come credenze. Tuttavia, sarebbe facile modificare questo errore fornendo una motivazione sufficiente. La dottrina ha, però, dimostrato come questo non sia vero15 .
Kahnemann16 sottolinea che le persone cercano dati compatibili con le loro attuali convinzioni. Il bias di conferma del sistema di ragionamento 1 [l’intuitivo] induce le persone ad accettare acriticamente le ipotesi e ad esagerare la probabilità che si verifichino eventi estremi e improbabili. Si tratta di un pregiudizio di conferma. Così, anche le fake news possono creare o confermare credenze che sono notevolmente resistenti anche di fronte a dati empirici assolutamente contrari o a correzioni autorevoli. Si tratta del fenomeno della perseveranza delle convinzioni, in base al quale le persone mantengono una convinzione anche dopo una smentita, o addirittura la rafforzano attraverso l’effetto di ritorno di fiamma. In un noto esperimento, ai partecipanti sono stati forniti articoli di notizie false contenenti commenti reali del Presidente Bush sull’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq al momento dell’invasione degli Stati Uniti. Un gruppo di partecipanti ha anche ricevuto un articolo che smentiva queste informazioni a seguito dell’indagine del Congresso. A tutti è stato poi chiesto di indicare il loro livello di accordo con le affermazioni secondo cui l’Iraq avrebbe scorte di armi di distruzione di massa e un programma di sviluppo attivo. La correzione ha avuto effetto per i democratici, è stata ininfluente per coloro che si definivano indipendenti e ha portato ad una reazione contraria dei repubblicani17 .
Inoltre, la disinformazione continua a influenzare le persone anche dopo che è stata corretta. Spesso è compatibile con i nostri modelli mentali e quindi la correzione deve basarsi su una spiegazione causale alternativa, altrimenti non ha alcun effetto. Oppure viene ricordata la notizia falsa, mentre la correzione viene dimenticata. Soprattutto, le fake news ci rendono più permeabili alle notizie analoghe o compatibili con le fake news. Infatti, secondo l’effetto di fluidità, un enunciato viene elaborato in modo fluido solo se non c’è esperienza di disfluenza. È un segnale metacognitivo che indica che un’affermazione è considerata discutibile e richiede un’elaborazione più intensa. Così, ad esempio, l’esposizione a ripetute fake news negative su un personaggio politico porta ad accettare più facilmente altri commenti o narrazioni critiche su di lui o lei. Questo sembra aver avuto un’influenza decisiva sulla campagna elettorale statunitense del 2016, a scapito di Hillary Clinton.
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1 GORBACH, Julien, “Not Your Grandpa’s Hoax: A Comparative History of Fake News”, in American Journalism, 2018, 35.2, pp. 236-249.
2 LAFRANCE, Adrienne, “How the fake news crisis of 1896 explains Trump”, in The Atlantic, 19.01.2017.
3 Messaggio del Santo Padre per la 52ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali su http://www.vatican.va/content/francesco/es/messages/communications/documents/papa-francesco_20180124_messaggio-comunicazioni-sociali.html ultimo accesso: 22.02.2021.
4 LIPPMAN, Walter, “L’opinione pubblica”, Roma, Donzelli Editore, 2004, p. 161.
5 LYOTARD, Jean-François, “La condizione postmoderna: un rapporto sul sapere”, Minneapolis, U of Minnesota Press, 1984.
6 FERRARIS, Maurizio, “Manifesto del nuovo realismo”, Roma-Bari, Editori Laterza, 2019.
7 FROSINI, Tommaso, “Libertè, Egalitè, Internet”, Napoli, Editoriale Scientifica 2015.
8 VOLOKH, Eugene, “Cheap speech and what it will do”, inThe Yale Law Journal, 1995, 104.7, p. 1838.
9 GOTTFRIED, Jeffrey; SHEARER, Elisa. News use across social media platforms 2016, http://www.journalism.org/2016/05/26/news-use across-social-media-platforms-2016/ last accessed 22.02.2021.
10 SUNSTEIN, Cass, “#Republic: Divided Democracy in the Age of Social Media”, Princeton NJ, Princeton University Press, 2017.
11 NICE, Randall D., “Reviving the Lost Tort of Defamation: A Proposal to Stem the Flow of Fake News”, in Ariz. L. Rev. , 2019, 61, p. 205.
12 GADAMER, Hans Georg, “Intervista con M. Cannata”, in Giornale di Sicilia, 10 aprile 1994.
13 CHOMSKY, Noam e HERMAN Edward S., “La fabbrica del consenso: l’economia politica dei mass media”, Milano, Il Saggiatore, 1988.
14 NOELLE-NEUMANN, Elizabeth, “La spirale del silenzio. Per una teoria dell’opinione pubblica”, Parma, Meltemi, 1980.
15 LEVY, Neil. “The bad news about fake news”, in Social epistemology review and reply collective, 2017, 6.8, pp- 20-36.
16 KAHNEMAN, Daniel, “Peniseri lenti e veloci”, New York, Farrar, Straus & Giroux, 2011.
17NYHAN, Brendan; REIFLER, Jason. ” When corrections fail: The persistence of political misperceptions”, in Political Behavior, 2010, 32.2, pp. 303-330.
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