Articolo di Fiorenzo Festi, Professore ordinario di diritto privato –

L’astensione dal voto nelle elezioni politiche: violazione di un dovere o espressione di libertà?


1.- L’art. 48 Cost. e le relative leggi ordinarie.

L’art. 48, comma II, 2° inciso, Cost. qualifica il voto alle elezioni come un «dovere civico».

Ci si può domandare come l’aggettivo “civico” impatti sul dovere, se lo rafforzi oppure se sia diretto, per così dire, ad “ammorbidire” il dovere stesso.

La soluzione preferibile sembra essere la seconda, se si considera che la locuzione rappresenta il frutto di un compromesso tra le sinistre, per le quali il voto avrebbe dovuto rappresentare un mero obbligo morale, e le destre nonché la democrazia cristiana, che sostenevano la giuridica doverosità del voto.

Il d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, ricalcava, all’art. 4, il disposto costituzionale, ribadendo la qualificazione del voto come «dovere civico», e stabiliva, con l’art. 115, una sanzione, in linea con il tipo di dovere, anch’essa, per così dire, “morbida”.

Secondo l’art. 115, l’elettore che non avesse esercitato il diritto di voto doveva comunicare la propria giustificazione al sindaco; quest’ultimo, valutati i motivi che avevano impedito l’esercizio del voto, doveva procedere alla compilazione dell’elenco degli astenuti; l’elenco degli astenuti senza giustificato motivo doveva poi essere esposto per la durata di un mese nell’albo comunale; infine, la menzione “non ha votato” doveva essere riportata nel certificato di buona condotta per cinque anni.

Successivamente, l’art. 1, legge 4 agosto 1993, n. 277, ha modificato l’art. 4 eliminando la qualificazione del voto come dovere, mentre l’art. 3, d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 534, ha abrogato l’art. 115.

2.- La situazione normativa attuale.

Quindi, attualmente, il precetto costituzionale risulta privo di qualsiasi sanzione, la sua inosservanza non determina alcuna conseguenza in capo ai trasgressori.

Dal punto di vista della teoria generale, ci si può domandare se si sia in presenza di una violazione della Costituzione da parte del Parlamento, ancor più grave rispetto agli altri casi di mancata attuazione del dettato costituzionale, perché, in questo caso, si è passati attraverso un’iniziale esecuzione. Oppure ci si può chiedere se l’opzione del legislatore ordinario sia corretta, sull’assunto che, effettivamente, la qualificazione come “dovere civico” sia solo l’affermazione pleonastica di un mero obbligo morale.

Quanto alle motivazioni dell’abrogazione, si può ipotizzare che essa sia frutto della pragmatica constatazione che la formazione dell’elenco degli astenuti senza giustificato motivo e la sanzione della menzione “non ha votato” fossero di scarsa efficacia e per lo più disapplicate. O forse frutto dell’osservazione, anch’essa pratica, che, anche obbligando a votare, considerato che il voto è segreto (art. 48, comma I, 1° inciso, Cost.), non si può comunque impedire il deposito di una scheda bianca o di una scheda annullata: nella sostanza, la sanzione era solo diretta a indurre l’elettore a “non andare al mare”1 e a recarsi alle urne.

3.- Ragioni e rischi dell’astensionismo.

Secondo politici e politologi, l’astensionismo, inteso sia come mancata partecipazione al voto, sia come inserimento nell’urna di scheda bianca o volontariamente invalidata, rappresenta un fenomeno negativo per la democrazia.

Si può dubitare che dietro i ripetuti inviti degli esponenti politici ad andare a votare ci sia la preoccupazione per il funzionamento della democrazia, quanto, piuttosto, l’idea di convincere tutti i propri simpatizzanti a superare la pigrizia e a recarsi ai seggi.

Dal punto di vista politologico, si suole osservare che una bassa affluenza di votanti rappresenta un pericolo e che, se tale affluenza dovesse scendere sotto il cinquanta per cento più uno degli aventi diritto al voto, la democrazia fallirebbe, in quanto la votazione non sarebbe espressione della maggioranza del popolo.

Effettivamente, può darsi che la mancata partecipazione al voto sia motivata dal rifiuto dell’attuale assetto politico: persone che vorrebbero instaurare in Italia comunismo, fascismo, anarchia o anche che auspicano la restaurazione della monarchia (vietata dall’art. 139 Cost.).

Tuttavia, considerato l’alto livello dell’astensionismo e la circostanza che i movimenti antagonisti sono, tutto sommato, molto meno numerosi del totale degli astenuti, si può ipotizzare che la maggior parte delle astensioni siano animate da ragioni non antidemocratiche. Molti non votano perché, pur non volendo sovvertire il sistema politico, non sono interessati a esso, non sono animati da ideali e pensano che, chiunque venga eletto, la loro situazione, buona, cattiva o media che sia, non cambierebbe. Altri si astengono perché pensano che le coalizioni in lizza per la vittoria siano tra loro molto simili e finiranno, ove vincessero, per fare le stesse cose. Altri ancora prevedono che il partito da loro prediletto vincerà – o, rispettivamente, perderà – sicuramente, per cui ritengono il proprio voto del tutto irrilevante. Altri, infine, fieri della loro unicità e poco inclini al compromesso ideale, non trovano un partito che rispecchi le loro idee.

Tutti gli astenuti che non rifiutano il sistema democratico delegano, con consapevolezza, maggiore o minore, ma sempre presente, i votanti a nominare i rappresentanti del popolo e, conseguentemente, anche qualora votasse la minoranza degli aventi diritto, non si potrebbe parlare di fallimento della democrazia, ma solo di una doppia delega (gli astenuti delegano i votanti e questi delegano i politici eletti).

In una democrazia matura e stabile, insomma, un’alta percentuale di astensionismo non è necessariamente eversiva e pericolosa.

Anzi, può accadere l’opposto, che sia una forte partecipazione al voto a rappresentare un indice di un rischio democratico. Si pensi alle ultime elezioni del presidente U.S.A., che hanno visto la più alta percentuale di votanti dal 1932: l’ampia partecipazione è stata sì favorita dal maggiore ricorso al voto postale dovuto alla pandemia, ma è dovuta soprattutto dalla diffusa convinzione che uno dei candidati rappresentasse un rischio per la democrazia o viceversa l’unica salvezza dell’America.

Non sempre, insomma, una elevata partecipazione al voto è frutto di consapevole, informato e competente esercizio del proprio diritto politico, ma frequentemente risulta connotata da accenti personalistici, dalla convinzione, quasi sentimentale, che il tal candidato possa risolvere, con un tocco, tutti i problemi. Inutile dire che, in società numerose e complesse, tale convinzione è priva di fondamento.

Aprendo una parentesi, ci si può interrogare sull’opportunità del voto per posta e anche, in prospettiva, del voto elettronico da casa propria: è giusto facilitare il voto oppure va mantenuto il sistema attuale, ritenendo che costringere a uscire di casa e recarsi al seggio dia la garanzia di un minimo di impegno e di esercizio consapevole del diritto di voto?

Chiusa la parentesi e tirando le fila del discorso, si può quindi affermare come l’astensionismo non sia necessariamente un fenomeno pericoloso: lo è se la democrazia sia sorta da poco, se le pulsioni antidemocratiche siano potenti oppure se la percentuale di astenuti superi una certa soglia. A quest’ultimo riguardo, non è possibile individuare tale soglia in termini generali, potendo variare a seconda della anzianità e della stabilità della democrazia, nonché della situazione in cui si trovi il Paese.

Dal punto di vista soggettivo, un’impostazione liberale spinta può vedere nell’astensione l’esercizio di una facoltà individuale: la libertà di non partecipare. L’idea di considerare il non voto un esercizio di libertà può inquadrarsi nella moderna reazione alle ideologie novecentesche che esasperavano i doveri sociali dell’individuo oppure nel recente rifiuto della società di massa. Lo stesso Giorgio Gaber, che, nel 1972, proclamava “libertà è partecipazione”, ha poi cambiato idea, dedicando canzoni all’individualismo che si estrania dalla lotta politica2.

4.- Conclusione.

In definitiva, oggi, in Italia, l’astensionismo non è più giuridicamente sanzionato e non pare rappresentare un rischio per la democrazia.

Dal punto di vista morale, infine, per molti rimane un comportamento criticabile, ma per alcuni può rappresentare espressione del libero esercizio di una facoltà individuale.

È, però, importante che chi si astiene per motivi diversi dall’idea di voler sovvertire l’attuale sistema sia consapevole che l’astensione è un “lusso”, una libertà consentita solo in quanto molti altri votano e partecipano alla vita politica. Perché, se la partecipazione al voto fosse troppo esigua, le istanze di sovvertimento della democrazia potrebbero alimentarsi e avere successo, con la conseguenza che le libertà di cui oggi si può godere verrebbero travolte.

Fiorenzo Festi

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1 È divenuto celebre l’invito di Bettino Craxi a disertare il referendum sulla preferenza unica del 1991 e ad andare al mare.

2 «Ma i cani sciolti un po’ individualisti, un po’ anarcoidi, sono gli ultimi utopisti, purtroppo non si accontentano delle elezioni e dei partiti e delle coalizioni, ne hanno pieni i coglioni. Non ce la fanno a delegare se non si sentono coinvolti, sono proprio allergici al potere i cani sciolti»: I cani sciolti del 1994.

Esito: -

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Di Festi Fiorenzo

Avvocato in Modena. Professore ordinario di diritto privato.

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