Racconto (con audio) di Eugenio Forni per Il Settimanale, rubrica a cura di Fiorenzo Festi.
Quando Giovanni ritenne di morire, si trovò improvvisamente avvolto da un buio profondo, e rimase inizialmente piuttosto perplesso.
“Oddio – pensò Giovanni – stai a guardare che di qua davvero non c’è niente… come diceva mio zio!”
La faccenda, col passar del tempo – ma quanto tempo? – iniziò a procurargli un certo disagio, e progressivamente anche una discreta angoscia.
Per sua fortuna, là in fondo, molto molto in fondo, individuò – o forse prima non c’era? – un piccolissimo punto bianco.
Giovanni sperò – la speranza è comunque sempre l’ultima a morire – che il punto bianco non fosse un’allucinazione, e così iniziò a procedere nervosamente verso quella meta, con il suo bagaglio a mano.
Su che cosa galleggiasse, in un buio tanto, è difficile saperlo: camminare, camminava.
E di strada ne faceva, visto che il puntino bianco, piano piano, diventava una luce che si ingrandiva sempre più, mentre Giovanni seguiva il suo destino.
Dopo un lungo percorso – di preciso quanto lungo, non sapremo mai – Giovanni iniziò a distinguere in lontananza, avvolte da un’aura surreale – nè poteva essere diversa – due suole di espadrillas, sorrette da un tavolo, attaccate alle gambe di un uomo che se la prendeva piuttosto comoda, dondolandosi sullo schienale reclinabile della sua poltrona.
Avvicinandosi, Giovanni scorse che quello si fumava alla maremmana un toscano importante, sorseggiava rhum da un balon fuori misura, e ogni tanto pizzicava ritmicamente un contrabbasso che teneva al suo fianco.
Giovanni prese a dubitare della situazione: “Vuoi vedere – pensò – che non sono morto e sto sognando?”.
Non gli restava che farsi sotto ulteriormente, e indagare.
Il personaggio alla scrivania, a dir la verità, non sembrava minaccioso come aveva temuto Giovanni, che dunque, superando la diffidenza iniziale, percorse gli ultimi metri, appoggiò la borsa a terra e, con molto rispetto, si mise sull’attenti davanti a lui, in attesa del giudizio.
L’uomo gli sorrise, si alzò in piedi, gli porse la mano calorosamente e si presentò:
“Buongiorno, sig. Giovanni, io sono Pietro”.
Giovanni accennò un baciamano. Poi si ricompose.
“Ah Lei è San Pietro?”
“No sig. Giovanni, qui di santi non ce n’è. Io sono Pietro, e basta”.
“Mi scusi, sig. San Pietro, anzi sig. Pietro, è che sa, mi aspettavo…ma sì, ha ragione, lei non ha nemmeno un mazzolino di chiavi”.
“Appunto, come vede, non sono San Pietro, sono semplicemente Pietro”.
“E…mi perdoni, sig. Pietro, ma sa, io qui sono foresto… Siamo in un sogno o son morto per davvero?”
“Per quello che ne so io, sig. Giovanni, lei è morto sul serio. E adesso è nell’aldiquà”.
“Aldiquà?” fece Giovanni.
“Sì sì, aldiquà. Cioè, per noi che siamo di qua, è l’aldiquà. Per quelli che sono ancora di là, è l’aldilà. Dunque, questo è il nostro aldiquà. Non so se mi spiego…”.
“Più o meno – fece perplesso Giovanni – ma, cos’è questo aldiquà? Una sorta di purgatorio? O di inferno?”.
“Ma di che sta parlando? – Pietro sorrideva – qui non ci sono nè inferno, nè paradiso, nè purgatorio”.
“Ah scusi – replicò timidamente Giovanni – è che sa, nell’aldilà…voglio dire in quello che per me comunque prima era l’aldilà, e ora qui è l’aldiquà, mi avevano sempre raccontato che o si finiva all’inferno, o al purgatorio: e alla fine, per alcuni, c’era un po’ di paradiso”.
“Ma sì lo so – Pietro scuoteva la testa – sono le solite vecchie panzane. Stia tranquillo, si faccia un buon bicchiere. Grappa? Whisky? Rhum? Un nocino?”.
Giovanni iniziava a rilassarsi.
“Veda, sig. Giovanni, qui funziona così: lì c’è un computer collegato wi-fi alla memoria centrale, si metta comodo a sedere, apra il suo file, e si appunti subito con attenzione il suo numero identificativo perché sa, siamo in tanti…”.
“Ma, sig. Pietro, in giro non vedo nessuno”.
“Perché ognuno è nel suo cosmo, sig. Giovanni, nel suo microcosmo, quello che si è scelto. Legga il suo numero seriale, vedrà che abbiamo superato i cento miliardi di presenze… le dirò, c’è stata anche una gran festa. E questo solo per la nostra sezione, poi c’è la sezione degli animali e quella delle piante”.
“Anche per loro sig. Pietro c’è un aldilà, un aldiquà, cioè questo lavoro qua?”
“Chiaro che sì, sig. Giovanni, e dove sta scritto che gli uomini abbiano diritto a un aldiquà, e tutti gli altri esseri viventi no? Caro il mio sig. Giovanni, piano piano capirà tutto. Entri nel file e inserisca i suoi dati: io sono qui apposta per darle le informazioni che le serviranno”.
Giovanni obbedì e, con molta calma per non sbagliare, iniziò stralunato a compilare le risposte.
Dopo una mezz’ora – fu poi una mezz’ora? – Giovanni si fermò pensieroso.
Pietro che, senza essere assillante, lo stava osservando di sottecchi, fu subito pronto a svolgere il suo compito.
“Problemi?”
“Sì sig. Pietro: nel campo ‹‹Software richiesto››… ma cosa ci devo mettere?”
“Ecco vede sig. Giovanni, qui c’è il cuore del know how dell’ aldiquà: deve decidere lei come preferisce passare il suo tempo”.
“Ma di quanto tempo parliamo, sig. Pietro?”
“Beh, sig. Giovanni, di tempo ce n’è un bel po’. Non starei a scomodare il concetto di eternità che, pur nell’aldiquà, continua ad essere ansiogeno e sfuggente anche per me, devo ammetterlo… diciamo che lei ha tutto il tempo che le serve. Però, se vuole un suggerimento, poiché il programma lo prevede, scelga un periodo circoscritto”.
“Ad esempio, quanto mi consiglia?”.
“Guardi, sig. Giovanni, può partire con dieci o cinque anni, o anche uno solo, se proprio vuole”.
“Ma sì – conciliò Giovanni – forse è meglio iniziare con un anno soltanto”.
“Dunque sig. Giovanni, quando era nell’aldilà, avrà pur immaginato, e magari spesso, come avrebbe voluto fosse quello che lei chiamava paradiso”.
“Sì sì sig. Pietro, eccome”.
“Ecco vede, sig. Giovanni, nel campo ‹‹Software richiesto›› lei inserisca una descrizione di come desidera che sia il suo aldiquà”.
“Bell’idea – meditò Giovanni – certo però che così, su due piedi…”
“Non c’è fretta – lo tranquillizzò Pietro – faccia pure con comodo” e riprese a fumare a grandi boccate il suo sigaro, dondolandosi avanti e indietro sulla poltrona, le espadrillas sul tavolo.
Giovanni pensò e ripensò a lungo. Non era una scelta facile.
“Le dò qualche idea – gli venne in aiuto Pietro – una ragazza nuova ogni giorno?”
“Direi di no, sig. Pietro, con le donne ho avuto sempre problemi, tensioni, insoddisfazioni. Poi, con quel che costano…”
“Allora vuole con sé i suoi figli?”
“Ma sig. Pietro, sono ancora vivi!”
“Non importa, sig. Giovanni, qui lei può avere quello che vuole…”
“No no, i miei figli no. E’ un pezzo che non li vedo, venivano di malavoglia e giusto per Natale. Sa, dicevano che gli ospizi mettono tristezza… a loro! Si figuri a me,che ci ho passato gli ultimi sette anni”.
“Capisco… senta sig. Giovanni: che ne pensa di una bella montagna di denaro, con cui comprare ogni giorno quel che le pare… tipo Paperon dè Paperoni?”
“No, sig. Pietro, i soldi non mi sono mai risultati decisivi, nella vita”.
“Allora sig. Giovanni, vuole il software più richiesto, secondo le nostre statistiche?”
“E cioè?”
“Il software ‹‹Sono dio››”.
“Come, sig. Pietro, non c’è già un dio?”
“E che ne so, sig. Giovanni! Io sono qui da un pezzo, e non l’ho mai visto né sentito. Magari c’è, ma si fa gli affari suoi”.
“E quindi, sig. Pietro, questo software, come funziona?”
“Lei nel suo microcosmo è dio: fa e disfa a suo piacimento”.
“Interessante sig. Pietro… però no…troppa responsabilità…piuttosto, mi faccia pensare… potrei avere i miei vecchi amici?”
“Bravo, sig. Giovanni. Compili il file!”
Giovanni con il mouse cliccò sul campo ‹‹software richiesto›› e digitò: “Vorrei passare il primo anno nell’aldiquà con i miei amici”.
Restò qualche minuto pensieroso poi aggiunse: “Non i miei amici, con tutti i difetti che avevano sulla terra. Desidero i miei amici, ma senza difetti: amici perfetti”.
“Bene! – commentò Pietro che, in qualche modo leggeva in tempo reale quel che scriveva Giovanni – Vada ora sul campo ‹‹location›› e indichi dove vuole fare base”.
“Buona anche questa idea – borbottò Giovanni – vediamo, vediamo… Saint Tropez mi sembrerebbe eccellente”.
“D’accordo sig. Giovanni. Lo inserisca nel file… e le suggerisco il periodo di prova.”
“Sarebbe a dire?”.
“Lei avrà una settimana di tempo, sig. Giovanni, nel corso della quale potrà sperimentare l’aldiquà che lei ha programmato”.
“Si, ottima idea, sig. Pietro”.
“D’accordo, clicchi su ‹‹periodo di prova››, ma attenzione: ha una durata standard, solo una settimana, non di più. E… buona fortuna!”.
Il lunedì, Giovanni ricevette la visita del suo amico Alessandro.
Che giornata memorabile fu! Sulla diga foranea, a godersi il mistral che spazzava il golfo di Saint Tropez, a ricordare i tempi andati, a meditare sui massimi sistemi, con l’aiuto di dozzine e dozzine di ostriche Belon, Breton, Marin, di tutte le carature, accompagnate da fiumi di Billecart Salmon rosè. Sembrò davvero di vivere uno di quei rari momenti in cui si comprendono le sfuggenti regole dell’essere e del divenire.
Non era l’Alessandro dell’aldilà. Non era così depresso e nichilista.
Era un Alessandro positivo e concreto, tutto un altro amico.
Però, quando Alessandro se ne andò, verso l’imbrunire di quel lunedì, Giovanni rimase pensieroso.
Questa edizione di Alessandro non era così profonda come l’originale.
Martedì, subito dopo colazione, venne il suo amico Luca.
Prima a regatare verso le Isole di Hyeres, poi a nuotare nelle magiche acque delle piscine naturali sotto il faro di Cap Camarat, infine a godersi il sole al tramonto alla fonda, nella baia dei Cannabiers.
Anche Luca non era in edizione originale. Era il suo amico Luca, ma senza il principale difetto: non era così opportunista e discontinuo nel suo affetto. Era un Luca presente e costante.
Il martedì sera, mentre Luca si allontanava, Giovanni non riuscì però ad evitare di pensare che questo Luca non era divertente come il Luca dell’aldilà.
Mercoledì fu la volta di Tommaso. Una giornata a sfidare l’intera spiaggia a beach volley, con una rinnovata intesa, che nemmeno ai tempi d’oro avevano avuto.
Tommaso non era qui così arrendevole nei momenti topici, come Giovanni se lo ricordava.
Ma al crepuscolo, mentre Tommaso salutava, Giovanni si ritrovò ad essere scontento anche di lui: troppo aggressivo e litigioso, non era il Tommaso equilibrato che aveva frequentato sulla terra.
Giovedì passò a trovarlo Camillo. E fu un giovedì di musica nella Plage de Tahiti: la mattina con la chitarra a squarciagola, il pomeriggio all’happy hour con le basi del karaoke e i microfoni a tutto volume, la sera sul mare con l’accompagnamento di un languido pianista.
E un numero imbarazzante di bottiglie di Krug millesimato, con castelli di cruditè a crepa pancia.
Camillo non mostrava quella punta di gelosia e quell’accenno di invidia dell’aldilà. Confessò finalmente, per la prima volta, di avere letto tutto quanto aveva scritto Giovanni in vita: perchè Giovanni era uno scrittore.
Quando Camillo se ne andò, Giovanni si inciampò comunque a pensare che il Camillo vero era più fragile sì, ma anche più tenero e coinvolgente.
Venerdì, l’arrivo di Sofia non diede tutta la prevista soddisfazione a Giovanni.
Passeggiarono avanti e indietro fino a sera, per ogni stradina recondita dell’ancient village, entrarono in qualunque negozio a comprare qualunque cosa. Poi si fermarono per aperitivi in tutti i caffè e bistrò del porto.
Era una Sofia più calda, e finalmente affrancata da quel marito tedioso; la nuova Sofia gli risultò sì ricca di personalità, ma piuttosto opprimente.
Sabato fu Fabio a deludere Giovanni. Dentro e fuori dai locali del Trop, a caccia di ragazze, per il solo gusto del corteggiamento, delle boiate da raccontare, dei siparietti da improvvisare.
Rientrando all’alba, cantando ubriachi, un’atmosfera triste galleggiava tuttavia nell’aria.
Non era il Fabio superficiale, iracondo e vagamente immorale che Giovanni aveva conosciuto; no, quei difetti non li aveva, ma finiva con l’essere prevedibile e banale.
Domenica, quando Lino suonò il campanello, Giovanni presagì già come sarebbe andata: dalla mattina alla sera in Place Des Lices a giocare alla petanque e a scacchi con gli anziani del posto, ad ascoltare e raccontare storie mirabolanti tra un Pastis e un Pernod.
Lino finalmente aveva perso la sua grettezza e la sua avarizia, ma era anche poco definito e privo di mordente.
Giovanni sapeva già che, entro sera, doveva a tutti i costi fare visita al sig. Pietro, prima che gli scadesse la settimana di prova.
Trovò il sig. Pietro sempre là al suo posto, stravaccato sulla poltrona, i piedi incollati alla scrivania, e un cubano fuoriserie in bocca.
“Sig. Pietro, sig. Pietro…” lo affrontò subito imbarazzato Giovanni.
Pietro sorrise: lo stava aspettando.
“E allora sig. Giovanni?”
“E allora…sig. Pietro, il periodo di prova non è andato per niente bene”.
“Capisco, sig. Giovanni, succede spesso… entri nel suo file, clicchi su ‹‹nuovo software›› e lo descriva, ma in fretta che le restano pochi minuti”.
Giovanni aprì il campo apposito, meditò alcuni secondi poi digitò d’un fiato: “Basta amici perfetti. Ridatemi i miei amici, quelli veri… e con tutti i lori difetti, per carità”.
Esito: -