Racconto (con audio) di Eugenio Forni per la rubrica Il Settimanale, a cura di Fiorenzo Festi.
Sì, è così, devo dire che ci ho messo un po’ a capirlo e molto di più a confessarlo a te, ma credo tu lo debba sapere. Sì, l’idea sembra un po’ balzana, forse penserai che è frutto della mia età, o della solitudine, è possibile. Eppure vorrei che tu ascoltassi come me ne sono convinto, poi trarrai le tue conclusioni.
La prima volta che ho avuto questa impressione è stata quando mi sono ritrovato a giocare col mio cane, agitandogli sul muso le braccia per farlo divertire. E lui reagiva in un modo che mi ricordava qualcosa, ma non sapevo bene cosa.
Inizialmente credetti che la scena mi riportasse semplicemente agli scherzi che avevo visto fare a mio padre con qualche cane, le poche volte che avevamo avuto a che farci.
In realtà, di cani in casa, mia madre non ne aveva mai voluti: troppi figli da seguire, troppo pulito da tenere in casa, troppo lavoro a cui adempiere fuori casa. Poi, diciamo la verità, l’amore per gli animali di mio padre non trovava l’equivalente in mia madre.
Fatto sta che, ripensandoci, non ero tanto io a replicare i movimenti di mio padre, ma era il cane, sì proprio lui, che muoveva le zampe anteriori esattamente come mio padre tanti anni prima agitava le braccia davanti ai cani per farli giocare.
Lo so, tu dici che è la mia immaginazione, troppo tempo è passato dalle situazioni che mi sembra di ricordare con mio padre, tuo nonno. Quanti anni sono trascorsi da quando lui ci ha lasciato! Quante notti l’ho sognato, vivo e vegeto, in carne ed ossa, di fronte a me! Ormai i ricordi veri di mio padre sono forse l’uno per cento, il restante novantanove essendo costituito da tutto quello che ci ho costruito io sopra; e non si tratta più – tu sostieni – di come fosse realmente tuo nonno, ma di come io voglio oggi continuare a rappresentarmelo. E’ la tua tesi, tutto è possibile, perché no. A star tanto tempo da soli, la mente può fare strane sorprese.
Ma fermati, non andare già via, sei appena arrivato. Questo non è l’unico indizio per cui mi sono convinto che mio padre si sia reincarnato nel mio cane.
Qualche sera fa il mio cane, esausto da una giornata intera di corse per la casa, si è accasciato dormiente sul divano. Quello non è il suo posto per dormire, lui ha la sua cuccia, così con un grosso sforzo mi sono chinato per raccoglierlo, l’ho preso tra le braccia, l’ho sollevato e piano piano, anche se a fatica, l’ho deposto tra i suoi amici pupazzi. Lui ha dischiuso un attimo gli occhi, mi ha guardato per rincuorarsi che si poteva fidare, mi ha riconosciuto, e in qualche modo mi ha ringraziato, o così almeno mi è parso.
Quando poi mi sono coricato, ho rivisto la scena e ho capito perché mi aveva colpito: era la stessa di quando tanti anni fa rientravo a casa la sera tardi e trovavo, davanti alla televisione ancora accesa, mio padre addormentato con la bocca semi aperta, che russava sonoramente. Faceva una gran tenerezza.
Lo accoglievo dunque tra le braccia, nonostante non fosse per niente leggero – ma a quel tempo io ero molto più in forze di oggi, come sai – lo rialzavo dalla poltrona delicatamente, lo cullavo leggermente mentre lo portavo verso la camera da letto poi lo adagiavo tra le lenzuola, gliele rimboccavo, e gli davo un bacio sulla fronte, proprio come immaginavo facesse lui con me bambino. Tuo nonno apriva un poco gli occhi, cambiava respiro e accennava un sorriso di ringraziamento,
Identico al mio cane.
Sì capisco, per te sono coincidenze, “né prove né indizi, – tu dici – tutti gli animali compresi gli uomini reagiscono allo stesso modo in certe condizioni”.
Può darsi, ma nel nostro caso c’è qualcosa di più profondo, di più vero, più intenso.
Sì, hai tanto da fare, sì, devi andare. Ma dammi ancora due minuti, non è tutto.
Un giorno mi ero dimenticato – sai alla mia età – di preparare il suo cibo, così il cane per attirare la mia attenzione non ha trovato niente di meglio che balzare a quattro zampe sulla tavola ed abbaiarmi convinto.
“E allora?” dici tu.
Allora mio padre ha insegnato una vita al liceo, ed era famoso perché, quando vedeva che la classe dormicchiava e non lo seguiva, saliva in piedi sulla cattedra e da lì teneva il resto della lezione, provocando sì umorismo ma anche maggior attenzione. E per decenni poi ho incontrato per la strada suoi ex studenti grati che lo ricordavano per la sua bizzarria ma anche per la sua umanità, e sempre con gli occhi umidi.
No! Ti sbagli! Sostenere che tuo nonno si sia reincarnato in un cane non è offensivo! Reincarnarsi in un cane per un uomo significa avvicinarsi a Dio. E’ un esplicito riconoscimento della nobiltà della sua esistenza, della coerenza con i suoi grandi ideali della famiglia, dell’onestà, del lavoro.
D’altronde, la qualità della vita di un cane amato dal suo padrone è molto migliore di quella di qualunque persona, se mai abbandonata a se stessa. Dovresti vedere l’espressione felice del mio cane quando corre libero nei prati, quando annusa l’aria che cambia, quando si affaccia da una balconata a perlustrare l’orizzonte – perché il mio cane adora gli spazi liberi proprio come mio padre amava il mare aperto e l’alta montagna.
E dovresti scrutare nei suoi occhi intensi e caldi quando lo stringo forte e lo bacio.
Sì, non sono matto. Lo abbraccio e lo bacio come fosse umano, ogni volta che lui mi fissa, con lo sguardo di tuo nonno, di un’anima buona, piena di aspettativa di affetto, ora trasfusa in lui, nel mio cane.
Sì lo so, è difficile da credere, scuoti la testa. Dici che la metempsicosi è solo una teoria masturbatoria, alimentata per di più dalla mia fantasia anziana. D’altronde, non sono forse consolatorie tutte le congetture sulla vita ultraterrena? E vero, lo riconosco, trovo rassicurante l’idea della reincarnazione.
Sarà che questa casa così buia e silenziosa, dove non viene mai nessuno a trovarmi, mi muove tanti ricordi, mi stimola tante rielaborazioni del passato… anche su cosa io possa aver sbagliato con te. Perché qualcosa devo pur aver sbagliato.
Certo, in effetti è molto tardi, ti ho rubato troppo tempo, devi proprio andare.
Sì, tornerai fra qualche mese, o tra qualche anno. Ma ti prego, ancora un istante.
Ricordi quando ti ho raccontato che mio padre in punto di morte mi disse che non aveva paura di morire, perché vedeva di là una grande luce che lo aspettava? E di non disperarmi, perché molto presto ci saremmo ricongiunti in qualche modo? Be’, evidentemente tuo nonno aveva un presentimento di questa sua nuova vita in mezzo a noi.
Ma vedo che hai già preso cappello e cappotto, la tua breve visita è finita. C’è solo un’ultima, davvero un’ultimissima cosa che ci tengo a dirti, anche se sei sulla porta: d’altronde non sappiamo se ci sarà un’altra occasione, tu passi sempre più raramente e io… sono ogni giorno più fiacco e stanco, la malattia avanza.
Quando non ci sarò più, fai un salto al canile municipale, vacci un giorno in cui hai la mente sgombra e ti senti in pace con il mondo. Passali in rassegna tutti, quei poveri cani malcapitati, senza un padrone che si prenda cura di loro.
Quando ti accorgerai che uno ti sorride, quello sarò io. Se vorrai, farai ancora in tempo magari ad occuparti un po’ di me, tuo padre.
Esito: -